Un tempo, il fotogiornalismo era un mestiere per audaci, per chi sapeva che un’immagine poteva cambiare il mondo. Oggi è…
Un tempo, il fotogiornalismo era un mestiere per audaci, per chi sapeva che un’immagine poteva cambiare il mondo. Oggi è una professione sempre più marginalizzata, svilita da compensi ridicoli e da un sistema che premia l’improvvisazione anziché la competenza. Le grandi agenzie si arricchiscono con il lavoro (sottopagato) dei professionisti, mentre chi scatta si ritrova con un pugno di crediti e una pacca sulla spalla.
Nel frattempo, le fotografie di gatti e colazioni abbondano sulle prime pagine digitali. La priorità dell’informazione? Decisamente cambiata.
Professionisti vs cittadini con smartphone
La nuova frontiera dell’informazione è accessibile a tutti, tranne ai giornalisti. Paradosso? No, semplicemente la realtà. Mentre il fotogiornalista, con tanto di tesserino e pass, si vede negare l’ingresso agli eventi pubblici, il cittadino qualunque può immortalare tutto con lo smartphone e, senza alcun filtro, diffondere il suo capolavoro sui social. Poco importa se la foto è sgranata, sfocata o decontestualizzata. “È la democrazia dell’immagine, bellezza!“
La grande illusione economica
Chi lavora per le grandi agenzie fotografiche si è ormai abituato a vendere immagini per pochi spiccioli. Un tempo si parlava di tariffari, oggi di “opportunità di visibilità”. Peccato che la visibilità non paghi le bollette e che, dietro ogni scatto, ci siano attrezzature costose, viaggi, ore di attesa e, soprattutto, competenza. Ma perché pagare un professionista, quando il web è invaso da foto gratuite, pronte per essere utilizzate senza troppi scrupoli?
Concorrenza sleale? No, solo il “Nuovo ordine mondiale dell’informazione”
Il fotogiornalista segue regole, codici etici, paga tasse e contributi. Il fotografo improvvisato no. Eppure, le sue immagini vengono usate indistintamente da giornali e televisioni. È il trionfo della deregulation, l’apoteosi della furbizia. E il bello è che nessuno sembra preoccuparsi delle conseguenze: una professione che si estingue, un’informazione sempre più superficiale e manipolabile, e un mercato fotografico ormai drogato dalla gratuità.
Cosa fare?
Se non si corre ai ripari, il fotogiornalismo rischia di diventare una curiosità museale. E allora, ecco qualche suggerimento per salvare il salvabile:
- Regole chiare per impedire che il lavoro professionale venga saccheggiato.
- Compensi adeguati: perché il lavoro si paga.
- Libertà di accesso garantita ai professionisti, che non dovrebbero essere trattati come intrusi nei luoghi dell’informazione.
- Stop all’uso indiscriminato di immagini amatoriali nei media.
Insomma, il fotogiornalismo merita di essere salvato. O almeno di morire con dignità.