Intervista ricevuta da Andrea Iannuzzi
“L’intelligenza artificiale al cinema? Credo la si debba usare con parsimonia: ci sono categorie che vanno protette da uno sviluppo incontrollato della tecnologia; sì, gli attori, ma anche i lavoratori dei comparti tecnici. E’ sempre preferibile, secondo me, che dietro una steadycam o un drone ci sia una persona in carne ed ossa”.
E’ giovane Mattia Pantaleoni, ma ha già le idee chiarissime: “La passione per il cinema la coltivo sin da piccolo. Quando facevo le elementari, allo studio di certe materie preferivo restare per ore chiuso nella mia cameretta a scrivere storie, anche abbastanza lunghe, che poi mi piaceva leggere in classe”.
La possibilità di trasformare le parole in immagini in movimento l’ha scoperta dopo.
La mia fortuna è stata incontrare Garrett Brown, inventore della steadycam e da lì ho deciso di specializzarmi. E’ stato fondamentale, in particolare, un viaggio di formazione in Marocco: lì ho avuto l’occasione, tra l’altro, migliorare il mio inglese e, dal punto di vista umano, di arricchirmi grazie ai continui scambi con venti ragazzi provenienti da tutto il mondo. Questo quando la Aurumovie, società di produzione cinematografica indipendente che ho fondato insieme a mia madre, stava muovendo i primi passi.
Com’è condividere la dimensione familiare e quella lavorativa?
E’ sicuramente complicato avere una mamma come capo (sorride, ndr.): lei pretende da me sempre il massimo, sul lavoro è molto severa e fa bene.
Perché col duro lavoro, prima o poi, le soddisfazioni arrivano.
Sì. E’ stato emozionante ricevere all’ultimo Festival di Venezia il premio “Cinema e Industria” per il corto documentario, completamente autofinanziato, “Benvenuta, Siora Maschera!”. Un lavoro sul Carnevale più bello al mondo per eleganza e storia, che viene prima ancora di quello di Rio e di tutti gli altri, a cui da veneti tenevamo molto. Ma non è solo una questione di appartenenza territoriale: il Carnevale di Venezia è di tutti e, questo il messaggio che abbiamo voluto trasmettere, ci insegna che si può essere chi si vuole, in assoluta libertà. Senza alcun pregiudizio.
Un bel messaggio di inclusività. Da indirizzare soprattutto a chi?
La Aurumovie punta soprattutto sui più giovani: tentiamo di sensibilizzarli su temi rispetto ai quali non è più immaginabile voltare la testa dall’altra parte: la violenza di genere o la sicurezza stradale, che abbiamo affrontato in “Per sempre insieme” del regista Domenico Costanzo. Vogliamo raccontare “storie motivazionali”, ispirate a dei principi reali che spingano i giovani a credere nell’importanza dell’imparare, del fare, il più possibile lontano dagli schermi di TikTok.
La voglia di fare a lei non manca, mi sembra.
No. Infatti se dovessi pensare di trarre dalla mia vita un film, non solo lo dirigerei in prima persona ma non avrei neppure bisogno di un attore protagonista: d’altronde, chi più di noi stessi è in grado di raccontarci?