Uscito il saggio sulla disabilità “Sento lo stesso i brividi sulla pelle”

Titolo: Sento lo stesso i brividi sulla pelle

Curatrici: Chiara Vergani e Giovanna Favret

Editore: Brè Edizioni

Pagine: 148

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In carta a 11€ nelle principali librerie online e fisiche

Genere: biografie – saggio sulla disabilità

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In vendita dal 19 giugno 2023 su Amazon e dal 10 luglio in tutte le altre librerie online e fisiche

Biografie curatrici

Chiara Vergani, insegnante, pedagogista, formatrice sulle problematiche del bullismo, specializzata in criminologia e tutela del minore.  Tiene conferenze in tutta Italia, interviene in molti programmi televisivi e radiofonici, collabora con diverse testate giornalistiche. Ha pubblicato Lo scacco rosso. Storie di bullismo (2016); Mai più paura. Il bullismo spiegato a tutti (2018); Il mondo si è fermato. Non voglio scendere (2019); Le voci della verità (2020); Il sole nascosto (2021); Libere dall’inferno (2022); Per Brè Edizioni: Bipolari in bilico e Professione docente, tutte nel2022. Per il progetto “A scuola con noi” dedicato al popolo ucraino ha scritto i seguenti ebook: Vocabolario illustratoA scuola con noi, Le regole facilitate della lingua italiana, Per la pace, Un carrellino per tutti, I racconti delle quattro stagioni, Bullismo e disabilità (2022). Sempre con Brè, Io sono Darty, dedicato al suo meraviglioso gatto, del 2023

Giovanna Favret, Consigliere comunale di punta di una grande realtà del Nord Est, da sempre si occupa di persone con disabilità. Ha fondato l’Associazione “Santa Lucia”, di cui è Presidente; è Vicepresidente dell’Associazione “Sport 21” dedicata a ragazzi con la sindrome di down. Questi grandi e importanti impegni sociali sono determinati dalla conoscenza diretta in quanto genitore di un figlio con disabilità.

Sinossi

Due biografie, una breve, una lunga, stesso destino: la disabilità grave. Testimonianze raccolte da due studiose volte a farci immergere in un mondo difficile, sconosciuto, e una volta immersi scoprire quanto sia meraviglioso. No, non vogliamo certo dirvi che essere invalidi è bello, ma farvi comprendere come, con il giusto approccio, con la forza d’animo, con la speranza e la fiducia nel prossimo e in Dio, si possa essere sereni, al limite felici. Remo e Patty ci prendono per mano, con doveroso rispetto entriamo in punta di piedi in un mondo dove tutto è diverso solo in apparenza. È solo rallentato, ma andando piano si assapora meglio, si coglie la sfumatura che mai avremmo notato della frenesia quotidiana, si riflette e pensando e ragionando, si impara a vivere. Un libro per imparare tante cose importanti.

Estratto

Tutto ciò, però, ormai apparteneva al passato e il presente era tutta un’altra cosa. Dopo qualche ora ero sotto i ferri. Ricordo che, poco prima di entrare in sala operatoria, i medici mi chiesero l’autorizzazione per l’intervento. Io risposi serenamente, “tranquilli, fate pure”, come se avessi dovuto autorizzare un’operazione alle tonsille!

Qui, il detto “beata ignoranza” ci sta giusto bene. Forse, se avessi avuto piena coscienza del problema, avrei rifiutato l’intervento e sarei morto, lasciando che la natura facesse il suo corso. O forse no.

In sala operatoria andò tutto bene e mi stabilizzano la colonna vertebrale con una placca di titanio dalla terza alla quinta cervicale, vertebre che si erano fratturate.

Probabilmente il momento più brutto è stato il risveglio dopo l’intervento e la fine dell’effetto dell’anestesia perché non sapevo più dov’ero e non riuscivo a respirare. Non capivo che c’era una macchina che mi stava pompando aria nei polmoni per permettermi di respirare e che di conseguenza io potevo soltanto assecondarla. Ero circondato da macchinari, luci e suoni; non capivo perché non riuscivo a muovere nulla visto che mi avevano già operato. Le luci al neon accese ventiquattro ore su ventiquattro mi battevano sugli occhi e non avevo più la cognizione del tempo. Non potevo ricevere visite, non distinguevo un minuto da un giorno, non potevo bere e mangiare, non riuscivo a parlare, avevo tubi, sonde e cannule che mi uscivano da ogni parte del corpo. Perdevo e riprendevo i sensi continuamente, o almeno così mi sembrava, visto che il tempo ormai era una dimensione relativa di cui ero in balia, come una foglia secca in una tormenta. Come poteva essere? Non era possibile, perché non mi sentivo? Dov’era finito il mio corpo? Eppure era lì, lo vedevo, c’era tutto, non mancava nulla! Era come se fossi sospeso in aria, ero su un letto ma non sentivo nulla sotto di me. Quando mi spostavano, ero inconsistente, come una medusa spiaggiata. Inerme, incapace di reagire, in balia delle onde e consapevole della sua imminente fine. Mi guardavo, cercavo di capire: ero io ma non ero io; ero presente, cosciente, ma come se stessi guardando un film. Forse era soltanto un brutto sogno, un incubo. Mi dicevo “svegliati Remo, svegliati”. Ma ero già sveglio: non era un incubo e tantomeno un brutto sogno. Era tutto vero, ma non potevo crederci, era troppo da affrontare, così all’improvviso. Era devastante e inumano!

Non riuscirò mai a dimenticare quei terribili momenti, che furono soltanto l’inizio di un lungo periodo di tribolazioni e riabilitazione: dieci mesi passati tra la terapia intensiva di Mestre e di Udine, unità spinale, medicina d’urgenza e clinica riabilitativa. Non potevo far altro che aspettare e cercare di capire cosa e chi ero diventato.

Dopo dieci terribili giorni di terapia intensiva a Mestre mi portarono in quella di Udine, all’ospedale civile, dove mi accolse Silvia, un’infermiera che conoscevo prima dell’incidente, ma che avevo perso di vista e non sentivo da un paio di anni. Mi portarono nella mia postazione. Certo era sempre una terapia intensiva, ma almeno non era una catacomba buia e triste. Infatti, c’erano delle immense vetrate che facevano entrare il bellissimo sole di un mese di giugno ormai alle porte. Certo era comunque una vita d’inferno: potevo ricevere la visita di una persona al giorno: non potevo parlare perché avevo ancora la tracheotomia, ma almeno sentivo una voce amica che mi raccontava cosa accadeva nel mondo.

Le notti erano sempre lunghissime, era impossibile dormire a causa di tutti i rumori e del personale che andava continuamente avanti e indietro. Quando mi addormentavo poi, arrivavano soltanto incubi, ero totalmente disorientato, mi sembrava che i macchinari si spostassero continuamente o che, a mia insaputa, mi avessero spostato in un’altra stanza.

A proposito di macchinari, una notte accadde che il dispositivo che mi permetteva di respirare s’inceppò, e invece di mettere e togliere aria nei polmoni continuava a immettere e basta. In sostanza mi stavo gonfiando come nella scena del film di Fantozzi obbligato a bere l’acqua Perrier, l’acqua più gasata del mondo. Insomma, la pressione polmonare si era alzata tanto da riuscire a contrastare la resistenza del palloncino che teneva ferma la tracheotomia e cominciai a chiamare aiuto con voce potente. Nel giro di pochi secondi arrivò l’infermiere che sbloccò la macchina, e tutto tornò nella norma. Magari avrebbe potuto finire male, ma questa “avventura” mi fece sorridere e mi fa ridere tuttora se immagino la scena!

Il sabato o la domenica mattina potevo godere della mia ora di relax perché un’infermiera, che mi aveva preso particolarmente in simpatia, lavava i miei lunghi capelli biondi massaggiandoli con calma, in modo quasi sensuale e decisamente rilassante. Al contrario, le continue broncoscopie erano sempre fastidiose ma, fortunatamente, duravano poco. Le prime che mi hanno fatto però sono state fantastiche, non per la procedura in se stessa, ma perché prima di cominciare mi iniettavano in vena una sostanza bianca che mi faceva perdere i sensi immediatamente. Non sapevo di cosa si trattava, ma era portentosa nel suo effetto. Perdevo i sensi immediatamente, mi svegliavo che non c’era più nessuno e non sapevo neanche quanto tempo era passato Di sicuro però, questi erano gli unici momenti in cui dormivo veramente come un sasso.