La sua esperienza da docente in un carcere è diventata un libro; incontriamo Maria Paola Guarino, che ci presenta il suo ultimo libro Il Tempo è la sostanza di cui sono fatto (Vittoria Iguazu Editora): “Scriverlo”, racconta, “mi ha fatto capire che la vita va sempre vissuta e che non dobbiamo mai smettere di sognare e progettare”.
Professoressa, com’è nata l’idea del libro?
Fin dalle prime letture degli elaborati dei miei alunni-detenuti ho pensato che certe riflessioni, particolarmente dolorose, avrei voluto farle conoscere perché i miei alunni fossero considerati prima di tutto uomini, allontanando così il pregiudizio legato alle loro immagini che i mass-media ci avevano presentato .
Ogni viaggio che si rispetti, e questo libro lo è, ci trova diversi da come siamo partiti. Lei in cosa si sente maggiormente cambiata? La scrittura del libro l’ha aiutata a scalfire qualche pregiudizio?
Pensando alla sorte di chi è recluso spesso mi sono chiesta come fosse impegnato il tempo che mi appariva ripetitivo e quindi vuoto, legato alla subordinazione di regole legali, ma anche illegali. Poi ho scoperto che molti progettavano culturalmente il loro tempo e potevano così volare con lo spirito oltre le mura, oltre il carcere. Ho riflettuto su quanto questo atteggiamento debba essere proprio di tutti noi; anche quando l’età avanza non dobbiamo smettere di sognare e progettare perché la nostra vita sia sempre non sopportata, ma vissuta.
Il tempo è la più grande ricchezza di cui disponiamo, ma non è immediato comprenderlo: qual è stato il momento esatto della sua vita in cui ha capito che non era più il caso di sprecarlo?
Per l’energia che mi ha sempre caratterizzato non mi sembra di aver sprecato il mio tempo se non quando la sorte mi ha per certi periodi battuto severamente. Ma poi sono sempre riuscita a risollevarmi con altrettanta, forte energia. Ed anche ora, scrivendo questo libro, più che mai desidero offrire la mia positività esistenziale e lasciare di me quanto più posso.
“Il Tempo è la sostanza di cui sono fatto” si divide in due parti, la seconda attinge propriamente dal romanzo epistolare. Una lettera che non ha mai scritto: a chi la indirizzerebbe e cosa gli direbbe?
Oggi è sempre più difficile e raro scrivere lettere. Riflettendo su questa domanda penso a persone che mi sono state accanto in passato, e che sono presenti solo nel ricordo. Vorrei scrivere loro quanto sono stati importanti nella mia vita e vorrei riuscire a togliere la maschera della rigidità dal mio volto.
Il titolo riecheggia una frase di Shakespeare: “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni”. Lei ce l’ha, oggi, un sogno da realizzare?
Credo che la vita mi abbia tolto e dato molto. Non mi sembra di avere sogni particolari, se non che la sorte dia particolare salute alle persone che amo.
Certo in questo specifico momento vorrei che il mio ultimo libro possa essere conosciuto ed apprezzato.
E’ quasi estate, la stagione perfetta per le letture. Ci consiglia un libro che non possiamo non aver letto?
Un libro che ha avuto un notevole successo diversi anni fa, e che ha avuto ben 40 traduzioni e che per me è ancora , spesso, oggetto di lettura è “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi. Non a caso nella Postfazione del libro che ho scritto inizio proprio con le parole di Tabucchi che si trovano in quel testo
Di recente, la vita nelle carceri è stata raccontata anche attraverso il serial di Raidue “Mare Fuori”, ambientato in un IPM. Lo ha visto? Cosa ne pensa?
Ho soltanto iniziato a vedere il serial “Mare fuori”, ma poi ho interrotto la visione perché l’ambiente descritto si discostava molto da quello che io avevo conosciuto nel carcere in cui insegnavo. Ho avuto quindi l’impressione che si discostasse molto dalla quotidianità carceraria.